Il microbiota è l’insieme dei microrganismi che popolano il tratto intestinale ed è coinvolto in vari processi metabolici. Composto da circa 160 specie delle 1000 esistenti, i batteri più rappresentativi appartengono a 4 phyla principali, ovvero Firmicutes, Bacteroidetes, Actinobacteria, Proteobacteria e Verrucomicrobia e una tipologia di Archaea: Euryarchaeota.
Come cambia il microbiota
Il microbiota è influenzato: dal tipo di parto (vaginale o cesareo), dai geni, dall’età e dallo stile di vita di un individuo, dai farmaci (ad esempio gli antibiotici), dall’alimentazione (fibre e generi alimentari assunti). In riferimento all’alimentazione, le fibre alimentari (presenti nelle verdure, nella frutta, nei legumi e nei cereali integrali) possiedono la capacità di modificare almeno in parte la composizione dei batteri che popolano il colon nell’uomo.
Il microbiota del colon fermenta le fibre alimentari con formazione di acido acetico, butirrico e propionico. A partire dalle fibre assunte con l’alimentazione, i nostri batteri buoni producono il butirrato che è un acido grasso a catena corta che fa si che le cellule intestinali restino vive e in buona salute. Il butirrato sopprime la reazione infiammatoria avvertendo il sistema immunitario di non attaccare. Quando questa sostanza scarseggia perché la nostra dieta è carente di fibre, il nostro sistema immunitario è sempre attivato e attacca indistintamente i batteri buoni e cattivi, causando un perenne stato infiammatorio.
Quando si verifica un’alterazione momentanea o permanente della composizione dei batteri commensali oppure opportunisti della comunità del microbiota intestinale si parla di disbiosi. A determinarla possono essere infezioni batteriche, cattiva alimentazione, sovrappeso e obesità e qualsiasi condizione patologica che implica assunzione di farmaci. La dieta è lo strumento più potente in grado di influenzare la diversità di specie dei batteri intestinali. Una dieta sbilanciata ipocalorica o ipercalorica, ricca in grassi, zuccheri, favorisce la proliferazione di specie microbiche “cattive” che predominano sui batteri “buoni”.
La dieta low-Fodmap
Una dieta low-Fodmap è stata proposta come una possibile strategia per modulare il microbiota intestinale e alleviare i sintomi associati a diversi disturbi cronici, come la sindrome dell’intestino irritabile (Ibs), la colite ulcerosa e la malattia di Crohn.
Fodmap è un acronimo che indica: oligosaccaridi fermentabili, disaccaridi, monosaccaridi e polioli, cioè carboidrati presenti in diversi alimenti come frutta, verdura, latticini e dolci. La dieta low-Fodmap prevede l’esclusione o la riduzione di cibi ad alto contenuto di Fodmap dalla propria alimentazione in quanto questi alimenti possono essere fermentati dai batteri del colon, causando sintomi come gonfiore, flatulenza, diarrea o stitichezza nelle persone sensibili.
Pro e contro
Esistono però pro e contro:
Pro
• Allevia i sintomi dell’intestino irritabile (Ibs) come dolori addominali, gonfiore e diarrea e migliora la qualità di vita di pazienti con patologie intestinali croniche.
• Identifica i cibi scatenanti: la fase di reintroduzione della dieta permette di identificare i cibi specifici che causano reazioni avverse, aiutando le persone a personalizzare la propria alimentazione per ridurre i sintomi.
Contro
• Riduzione della diversità del microbiota: essendo una dieta molto restrittiva, si riduce substrato di fermentazione del microbiota che, dunque, non potrà svolgere la sua consueta attività metabolica. Ciò potrebbe avere conseguenze negative sulla salute a lungo termine
• Non è facile da seguire: richiede una rigorosa pianificazione e un attento monitoraggio dell’alimentazione
• Potenziale carenza di nutrienti: l’esclusione di vari alimenti può portare a una carenza di nutrienti importanti come la fibra, le vitamine e i minerali. È importante fare attenzione a bilanciare l’alimentazione in modo da evitare carenze importanti
Alla luce di tutto questo è fondamentale essere seguiti da un professionista prima di intraprenderla evitando fai da te. Il nutrizionista, valutando le caratteristiche del paziente, potrà stabilire il piano adatto da proporre.