Le intolleranze alimentari fanno parte di un vasto gruppo di disturbi definiti come reazioni avverse al cibo. Spesso si confonde il termine intolleranza con allergia. Esiste una differenza principale tra le due, perché l’allergia coinvolge il sistema immunitario, l’intolleranza no (e in più queste ultime sono più comuni delle prime). Ma chi ne soffre ne soffre davvero? Con la dottoressa Giorgia Coniglio, psicoterapeuta, abbiamo provato a scrivere a quattro mani un approfondimento sulle fobie alimentari. In che modo queste impattano a livello nutrizionale e come in modo psicologico? Scopriamolo insieme.
Perché esistono le intolleranze
Le intolleranze variano in relazione alla quantità di alimento non tollerato ingerito e il meccanismo che le scatena può essere diverso: ci sono intolleranze dovute da difetti enzimatici (ad esempio la carenza dell’enzima lattasi porta molte persone ad essere intolleranti al lattosio oppure l’intolleranza al grano, definita celiachia, o anche il favismo) oppure intolleranze determinate da sostanze farmacologicamente attive. Queste, per esempio, sono determinate dall’effetto farmacologico di sostanze contenute in alcuni alimenti quali per esempio istamina contenuta in vino, spinaci, pomodori, alimenti in scatola, sardine, acciughe, formaggi stagionati oppure tiramina contenuta in formaggi stagionati, vino, birra, lievito di birra, aringa oppure caffeina, solanina, teobromina e molte altre ancora. Poi ci sono intolleranze provocate da additivi come nitriti, benzoati, solfiti oppure altre indotte da meccanismi ancora sconosciuti.
Le allergie e il sistema immunitario
Per quanto riguarda le allergie invece vi è il coinvolgimento del sistema immunitario e vengono prodotti anticorpi chiamati IgE verso una componente dell’alimento che è stato ingerito o con il quale la persona è venuta a contatto. Generalmente ciò che scatena questa reazione sono delle proteine. Sono proprio loro a far attivare il sistema immunitario. Gran parte delle proteine vengono denaturate con la cottura. Ma non per tutte è così. La pesca per esempio contiene la profilina, proteina e noto allergene. Questa proteina viene distrutta dalla cottura. Crea allergia se la pesca viene consumata cruda con i classici sintomi rigonfiamento lingua o esofago. Chi è allergico solo a questa proteina se mangia una pesca “cotta” (ad esempio confettura) non manifesta alcun tipo di allergia. Tuttavia la pesca contiene un’altra famiglia di proteine (LTP) che al contrario della profilina non vengono denaturate dal calore. I soggetti allergici anche a queste, non tollerano la pesca né cruda né cotta.
La sintomatologia delle intolleranze alimentari
La sintomatologia associata alle intolleranze alimentari è piuttosto variabile: generalmente si riscontrano sintomi cutanei ma anche intestinali (dolori addominali, diarrea, vomito, perdita di sangue con le feci), raramente vengono colpiti altri organi. Le allergie, invece, poiché sono scatenate da meccanismi immunologici, possono manifestarsi anche senza sintomi intestinali. La sintomatologia legata alle intolleranze può in alcuni casi divenire cronica; le allergie possono avere anche complicanze più gravi, fino allo shock anafilattico.
Come si fa una diagnosi
La diagnosi di intolleranza alimentare è una diagnosi per esclusione: è possibile solo dopo aver indagato ed escluso un’allergia alimentare. L’indagine utilizzata per accertarla consiste nell’individuare l’alimento sospetto, eliminarlo dalla dieta per 2-3 settimane e poi reintrodurlo per altre 2-3 settimane. Se i sintomi scompaiono durante il periodo in cui viene abolito l’alimento e si ripresentano nel momento in cui viene reintrodotto nella dieta si tratta di una reazione avversa al cibo. A questo punto si verifica, attraverso test diagnostici, se è coinvolto il sistema immunitario e se si tratta pertanto di un’allergia; in caso contrario il disturbo è molto probabilmente dovuto a un’intolleranza.
Quali test fare
È bene precisare che ci sono molti test non validati che possono dare falsi responsi. Affidarsi dunque a strutture specializzate che eseguono test seri. Ad oggi i più comuni sono il prick test, e test sierologico per la ricerca delle IgE (Prist e Rast). E’ importante però farsi supportare sempre da un medico specializzato (allergologo) per capire come e quali alimenti è opportuno escludere e per quanto tempo.
I falsi miti più comuni legati alle intolleranze
“Mi sento gonfia, elimino il glutine”
Se non si soffre di celiachia o intolleranza al glutine, il problema non è il glutine in sé ma l’insieme dei nutrienti contenuti nell’alimento. Il fatto di stare meglio con una dieta senza prodotti che contengono (anche) glutine non dimostra automaticamente che sia il glutine il problema. È l’alimentazione sbilanciata con un eccesso di grassi, proteine, zuccheri, sale e poca fibra il problema. Occhio ai prodotti senza glutine che non sono dietetici.
Eliminare il glutine dalla dieta senza aver una vera e propria intolleranza può danneggiare la nostra salute. Inoltre i prodotti gluten free, molto spesso, sono ricchi di grassi e zuccheri il cui consumo, in quantità superiori al necessario, causa il sovrappeso.
“Sono intollerante al lievito”
L’intolleranza al lievito non esiste. Il lievito una volta cotto muore e non esplica alcun effetto (né tanto meno le tanto discusse “fermentazioni”). La cottura annulla l’azione dei lieviti che per tale motivo non possono continuare il loro processo di lievitazione nell’intestino. Non vi sono infatti evidenze che il lievito, da solo, possa causare gonfiore. La presenza di gonfiore addominale può essere invece legata ad altri fattori come per esempio il quantitativo grassi e sale che spesso troviamo nei cibi (es: nella pizza) oppure di fibra presente nell’alimento (specialmente in quei soggetti che abitualmente consumano poca fibra), la presenza di Fodmap (carboidrati a corta catena fermentescibili) poco tollerati soprattutto dai soggetti affetti da sindrome dell’intestino irritabile.
Per dimagrire consumo latticini senza lattosio
I latticini senza lattosio non hanno alcun vantaggio in termini di dimagrimento. Ciò che fa ingrassare è la quantità di nutrienti che consumiamo durante la giornata (zuccheri, grassi, proteine). I prodotti “senza lattosio” sono adatti per quelle persone che sono intolleranti al lattosio. Ha un gusto naturalmente più dolce e questa sua caratteristica si può sfruttare per aggiungere meno zucchero (qualora siamo soliti usarlo) e questo è senz’altro un beneficio per il peso forma.
Reale intolleranza e una fobia alimentare?
Sempre più persone riferiscono così di soffrire di una o molteplici intolleranze alimentari, così come si evince dalle cifre in costante aumento. Consequenzialmente sono stati messi a punto numerosi test, più o meno affidabili, che promettono di individuare tempestivamente l’alimento alla base dei disturbi fisici e dell’aumento di peso. Ma quanto è sottile il confine tra una reale intolleranza e una fobia alimentare? Il susseguirsi di standard corporei sempre più difficili da raggiungere e lo stress socio-correlato, spesso inducono l’individuo alla ricerca di una forma fisica perfetta, standardizzata, così come viene proposta dai social-media. Corpi tonici e privi di “gonfiori” antiestetici sono l’obiettivo di uomini, donne, giovani e adolescenti che, probabilmente, trovandosi in una pregressa condizione di fragilità, si configurano come “terreno fertile” per diete “magiche” dai risultati risolutivi, spesso discriminanti nei confronti di particolari alimenti, talvolta identificati come oggetto di intolleranza.
Perché “non” mettere al bando certi nutrienti
Mettere al bando un nutriente può quindi diventare “l’obiettivo perfetto” verso cui focalizzare il proprio bisogno di controllo e nei confronti del quale, quindi, incanalare la propria ansia e i vissuti di stress. Seguire una dieta rigida, infatti, può facilitare lo spostamento del controllo da aspetti generali della vita verso un controllo predominante sull’alimentazione: controllo, quindi, l’alimentazione per riacquisire il controllo che ho perso o non riesco a trovare in altri ambiti della vita, come, per esempio, in campo relazionale, familiare e lavorativo.
Si inizia così ad investire in maniera eccessiva sulla valutazione del controllo dell’alimentazione, sui cibi da acquistare o sulle pietanze da cucinare con un consequenziale irrigidimento delle regole alimentari e dieta. Talvolta condotte alimentari cosi rigide e restrittive portano, in una prima fase, a risultati efficaci in termini sia di peso corporeo che relativamente ai disturbi gastrointestinali, inducendo l’individuo a pensare di avere realmente risolto ogni problema, ma l’attenzione selettiva alle sensazioni corporee porta, paradossalmente, ad aumentare ancora di più il controllo sull’alimentazione esacerbando i sintomi da malnutrizione e intrappolando così la persona in un vero e proprio disturbo alimentare.
I disturbi del comportamento alimentare
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), tuttavia, riguardano un ambito di studio ben diverso rispetto alle intolleranze alimentari o fobie specifiche, in quanto fanno riferimento ad una serie di sintomi e vissuti personali complessi talora non direttamente e necessariamente collegati all’aspetto nutrizionale. Non è però da escludere che in una fase primitiva di esordio, tale disturbo possa celarsi, o giustificarsi se vogliamo, dietro ad una scelta selettiva del cibo e/o intolleranze di vario genere. Pertanto risulta fondamentale una tempestiva diagnosi differenziale rivolgendosi ad allergologi esperti che possano verificare la reale presenza di intolleranze alimentari e consigliare esami medici di validità scientifica certa e qualora si ritenesse opportuno, laddove tale patologia non venisse confermata, risulta importante aiutare la persona, indirizzandola a professionisti esperti al fine di intraprendere un percorso psicologico. Questo trattamento, aiuterà la persona ad affrontare le eccessive preoccupazioni verso alcuni cibi, creando al contempo, un sistema di autovalutazione più ampio e non basato in modo predominante sul controllo dell’alimentazione, del peso e delle forme del corpo.